Foodwriter
Giorgio Rosato
New Explorer - Agenzia giornalistica
21 Mag 2020
Diversamente C.H.E.F. (i Cuochi Hanno Esautorato i Fornelli)
DIVERSAMENTE C.H.E.F. (i Cuochi Hanno Esautorato i Fornelli)
Nasce a Torino Diversamente C.H.E.F., un progetto gastronomico che si propone di scandagliare attraverso una serie di nuove prospettive il complesso e variegato universo della gastronomia. Con l’ambizioso obiettivo di creare una service company in grado di fornire know-how e consulenza aziendale nel settore del banqueting e nel catering alto di gamma. Ideatore dell’iniziativa è Giorgio Rosato, Chef Professionista ed Executive Chef Consultant del ristorante Vittorio Veneto di Cherasco. Questo è il protocollo di presentazione del progetto, un documento che, nonostante alcuni accenti critici, rivela una grande passione per l'universo del cibo.
Tra i vari fenomeni di costume che hanno contrassegnato le cronache degli ultimi anni, uno dei più travolgenti è stato senz’altro quello legato al cibo e alla cucina. Basta sintonizzarsi su un qualsiasi canale televisivo, curiosare tra gli scaffali di una libreria o sbirciare nella vetrina di un’edicola, per rendersene conto.
Servizi di cucina nelle scalette dei tg, rubriche e reality di ogni genere a qualsiasi ora del giorno (e della notte) e, tra i più recenti arrivi last minute, anche un nuovo network interamente dedicato al food trasmesso in chiaro sui canali del digitale terrestre.
Destreggiarsi tra pentole e fornelli sembra innalzare sempre più gli indici di ascolto e i protagonisti riscuotono oggi enormi consensi, grazie ad una esplosione mediatica senza precedenti che ha decretato il successo degli show cooking su scala planetaria.
Gli chef sono diventati ormai le nuove rockstar dell’era moderna, sempre più indaffarati nello slalom gigante tra telecamere e talk-show, o a presiedere giurie in gare gastronomiche dove gli spadellatori televisivi di turno si prodigano nel castigare puntualmente i malcapitati aspiranti cucinieri. Oltre ad essere disponibili, sempre e comunque, a genuflettersi alle lusinghe delle sirene del marketing cedendo la propria immagine al lucroso mercato pubblicitario, fino a indossare con estrema disinvoltura i panni di testimonial di patatine e detersivi.
Anche se poi la nemesi dei fornelli sottrae una stella sulla bibbia dei gastronauti alla star più mediatica dell’alta cucina, con una motivazione lapidaria che tuona all’incirca come “troppa televisione e poca cucina”. L’icona del cuoco fattosi logo inizia a vacillare?
Forse è presto per dirlo, ma questa debacle lascia preconizzare che anche nell’ambito della culinaria le dinamiche appaiono oggi leggermente distorte, se non addirittura capziose. Analogamente a quanto è già avvenuto nel mondo dell’arte, dove sembra quasi che il “contenitore” (museo) sia diventato più importante del “contenuto” (opere d’arte). L’inizio di questa mutazione risale alla fine degli anni Settanta, con l’inaugurazione del famoso “Centre Pompidou” (meglio noto come “Beaubourg”) di Parigi.
Il mega museo dalle forme simili a quelle di una enorme raffineria, realizzato da un team guidato da Renzo Piano e spuntato quasi dal nulla nel cuore della capitale francese a pochi passi dalla cattedrale di Notre Dame. Da allora i musei progettati dalle “archistar” si sono moltiplicati a macchia d’olio, sempre costruiti rigorosamente all’insegna dell’estrema esasperazione architettonica e del design avveniristico. In molti casi inoltre, come ad esempio nel Guggenheim di Bilbao, il museo è diventato un’attrazione turistica internazionale in grado di attirare pubblico da tutto il mondo. Anche se i visitatori accorrono più per scattare l’immancabile selfie davanti alle sue ardite linee geometriche, disegnate dal canadese Frank O. Gehry, che non per ammirare i capolavori di arte contemporanea racchiusi nelle sale del Museo.
E persino il classico e austero Louvre, uno dei più celebri musei al mondo (il terzo per numero di visitatori), quando ha deciso di rinfrescare il suo look in occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese (1989) non ha esitato ad innalzare nella sontuosa Cour Napoléon, il maggiore dei due cortili del Museo, le famose Piramidi di vetro (opera dell’architetto sino-americano Ieoh Ming Pei). Nonostante le feroci critiche avanzate alla presentazione del progetto (analoghe a quelle che esattamente 100 anni prima avevano bersagliato la Torre Eiffel), anche le Piramidi del Louvre hanno destato un grande interesse e riscosso un immediato successo all’indomani dell’inaugurazione.
Un fenomeno analogo si sta verificando anche nel mondo dell’alta cucina dove il contenitore (chef e vetrine televisive) è diventato ormai più importante del contenuto (bontà delle ricette, qualità delle materie prime e abilità nella preparazione). Ne consegue che una qualsiasi ricetta realizzata da uno chef stellato diventi all’improvviso una prelibatezza irresistibile, mentre quella avanzata da un illustre sconosciuto viene silurata rapidamente, e senza alcuna possibilità di appello, dagli chef di rango (o presunti tali) e dalla immancabile pletora di food blogger, food writer, food influencer, ecc.
Per dovere di cronaca va registrato comunque che nell’universo degli chef stellati c’è anche chi, con grande umiltà e senza troppi giri di parole, riesce a fare outing arrivando dritto al nocciolo del problema. Uno di questi è stato sicuramente Gianfranco Vissani che, nel corso di un’intervista del 16 maggio dello scorso anno nella trasmissione “La Confessione” di Peter Gomez, alla domanda del giornalista che gli chiedeva se avrebbe mai accettato di fare la pubblicità di un prodotto nel quale non crede per guadagnare tantissimi soldi ha risposto: “Forse si, forse si. Mandare avanti un'attività commerciale come la nostra diventa un problema, tutti chiudono. A volte ci sono tanti soldi dietro, e bisogna anche chiudere un occhio, stringere i denti e dirlo. Siamo mignotte, infatti noi diciamo che i cuochi sono i più grandi mercenari”.
Per lo stesso dovere di cronaca va sottolineato che persino nell’universo videogastronomico si possono trovare alcune eccezioni. Anche sugli schermi dei più noti e diffusi canali televisivi dedicati alla cucina. Soprattutto in quei format dove chef professionisti, e semplici appassionati di gastronomia, riescono a fornire informazioni corrette e di immediata comprensione senza strafare (o pontificare). Muovendosi inoltre in un clima molto familiare, coadiuvati dalla presenza di conduttori di collaudata esperienza e professionalità in grado di riportare l’amore per il cibo alla sua dimensione più autentica e genuina.
Sulla scia di queste svariate considerazioni nasce Diversamente C.H.E.F., un progetto gastronomico che si propone l’obiettivo di scandagliare attraverso una nuova prospettiva il complesso e variegato universo della gastronomia. Soprattutto mediante la realizzazione di una serie di inedite ricette “fuori dal coro” che riconduca l’attenzione dei buongustai, e degli appassionati di cucina, soprattutto sul cibo (contenuto) piuttosto che sul contenitore.
Una inedita quanto accattivante “global creative cooking“, che si differenzia radicalmente sia dalla classica cucina etnica sia da quella fusion, e che basa il suo humus creativo sulla spiccata vocazione di globetrotter del suo ideatore che finora ha viaggiato in quasi tutto il mondo visitando 71 Paesi in continenti. Dai suoi viaggi e da ogni esperienza gastronomica ad essi legata, sono scaturiti spunti, idee o ingredienti che, successivamente elaborati e sviluppati, hanno dato origine alle ricette fuori dal coro “Diversamente C.H.E.F”.
Ricette dal sapore forte e deciso, ma non aggressivo, che riescono tuttavia a soddisfare le aspettative di un "palato immaginario" molto esigente grazie all'equilibrio di materie prime di alta qualità, spesso abbinate a un variegato mix di spezie ed erbe aromatiche. In altre parole potremmo definirla come "la cucina di un samurai con l'a sensibilità di una geisha".
Queste ricette inoltre, proprio per il loro carattere “Diversamente C.H.E.F.”, non forniscono (come la maggior parte di quelle presenti sui libri di cucina o sulle pagine web dei food-blogger) indicazioni troppo dettagliate sulla quantità degli ingredienti, né dissertano eccessivamente sulle modalità di preparazione. In fondo “La cucina è libero arbitrio”, come ha replicato un famoso chef stellato a chi lo rimproverava per aver modificato l’impasto della pizza nella ricetta della “Margherita”, o di aver messo l’aglio negli spaghetti all’Amatriciana. Per cui l’armonia e l’equilibrio delle dosi dei vari elementi utilizzati sono legati alla creatività dello chef e alla sua continua ricerca per ottenere sempre il meglio. Ed essendo anche la cucina condivisione e piacere di spartire i piatti con tutti i gastronauti, non vi sono “ingredienti segreti” o tecniche nascoste, e tutte le informazioni sono fornite con la massima chiarezza, senza reclamare primogeniture o addirittura millantare diritti d’autore. Anche se potrà capitare che qualche “Ricetta d’Autore” venga registrata, solamente per garantire un minimo di tutela dai predatori del “copia&incolla” che, in ogni caso, non rappresentano un nocumento per lo chef che l’ha creata. Del resto, la storia ce lo insegna, non basta avere tra le mani uno Stradivari per suonare come Paganini…
In pratica, come sintetizza il termine chef (usato in questo caso come acronimo della locuzione “i Cuochi Hanno Esautorato i Fornelli”) viene auspicato il recupero del piacere del cibo con l’intento di far riscoprire una nuova dimensione degli alimenti. Sia attraverso una inedita ed inconsueta lettura delle ricette tradizionali, sia mediante la creazione di piatti originali e insoliti, realizzati spesso con materie prime provenienti da tutto il mondo, dove le regole esistono solo per essere stravolte.
Anche se gli ingredienti sono sempre più o meno gli stessi. Come accade per le note musicali. Sono solo sette, ma i risultati che scaturiscono dallo loro combinazione possono essere molto diversi: qualcuno riesce ad assemblare al massimo sul pentagramma un motivetto orecchiabile, capace magari di scalare per qualche settimana le hit parade estive, mentre altri creano capolavori come “Yesterday”, melodia evengreen da cinquantaquattro anni che, oltre ad essere premiata nel 1999 come la “canzone più bella del ventesimo secolo”, ha avuto fino ad oggi oltre 1.600 cover.
Diversamente C.H.E.F. si propone come una sorta di cucina corsara che cercherà di navigare nelle insidiose e turbolente acque dell’arte culinaria, dove solo le portaerei e le corazzate delle star mediatiche dell’alta cucina riescono a restare a galla. Ma anche un vascello corsaro può riuscire a volte a librarsi in aria con la leggerezza del gabbiano Jonathan Livingstone, costantemente alla ricerca di traiettorie ardite e nuove soluzioni di volo. Impresa senz’altro ardua e complessa, ma non impossibile poiché come sosteneva lo scienziato Albert Szent-Györgyi, Nobel per la medicina nel 1937, “La ricerca consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato”.
In cucina inoltre non bisogna mai dare niente per scontato poiché tutte le combinazioni (e le contaminazioni) sono possibili (e plausibili) e anche le prospettive, in base al tipo di approccio che si ha con il cibo, possono rivelarsi estremamente flessibili. Pensiamo ad esempio alla pizza: l’impasto di preparazione è formato da una sfera di lievito, acqua, sale e farina, quando esce dal forno la sua forma è rotonda, la scatola che la trasporta è quadrata e la fetta che arriva nel piatto è triangolare.
A proposito di bucanieri, infine, va ricordato che lo stesso Francis Drake, il più famoso corsaro della storia (XVI sec.), divenne “Sir Francis Drake” quando la regina Elisabetta I gli conferì la prestigiosa onorificenza per meriti speciali…
Nasce a Torino Diversamente C.H.E.F., un progetto gastronomico che si propone di scandagliare attraverso una serie di nuove prospettive il complesso e variegato universo della gastronomia. Con l’ambizioso obiettivo di creare una service company in grado di fornire know-how e consulenza aziendale nel settore del banqueting e nel catering alto di gamma. Ideatore dell’iniziativa è Giorgio Rosato, Chef Professionista ed Executive Chef Consultant del ristorante Vittorio Veneto di Cherasco. Questo è il protocollo di presentazione del progetto, un documento che, nonostante alcuni accenti critici, rivela una grande passione per l'universo del cibo.
Tra i vari fenomeni di costume che hanno contrassegnato le cronache degli ultimi anni, uno dei più travolgenti è stato senz’altro quello legato al cibo e alla cucina. Basta sintonizzarsi su un qualsiasi canale televisivo, curiosare tra gli scaffali di una libreria o sbirciare nella vetrina di un’edicola, per rendersene conto.
Servizi di cucina nelle scalette dei tg, rubriche e reality di ogni genere a qualsiasi ora del giorno (e della notte) e, tra i più recenti arrivi last minute, anche un nuovo network interamente dedicato al food trasmesso in chiaro sui canali del digitale terrestre.
Destreggiarsi tra pentole e fornelli sembra innalzare sempre più gli indici di ascolto e i protagonisti riscuotono oggi enormi consensi, grazie ad una esplosione mediatica senza precedenti che ha decretato il successo degli show cooking su scala planetaria.
Gli chef sono diventati ormai le nuove rockstar dell’era moderna, sempre più indaffarati nello slalom gigante tra telecamere e talk-show, o a presiedere giurie in gare gastronomiche dove gli spadellatori televisivi di turno si prodigano nel castigare puntualmente i malcapitati aspiranti cucinieri. Oltre ad essere disponibili, sempre e comunque, a genuflettersi alle lusinghe delle sirene del marketing cedendo la propria immagine al lucroso mercato pubblicitario, fino a indossare con estrema disinvoltura i panni di testimonial di patatine e detersivi.
Anche se poi la nemesi dei fornelli sottrae una stella sulla bibbia dei gastronauti alla star più mediatica dell’alta cucina, con una motivazione lapidaria che tuona all’incirca come “troppa televisione e poca cucina”. L’icona del cuoco fattosi logo inizia a vacillare?
Forse è presto per dirlo, ma questa debacle lascia preconizzare che anche nell’ambito della culinaria le dinamiche appaiono oggi leggermente distorte, se non addirittura capziose. Analogamente a quanto è già avvenuto nel mondo dell’arte, dove sembra quasi che il “contenitore” (museo) sia diventato più importante del “contenuto” (opere d’arte). L’inizio di questa mutazione risale alla fine degli anni Settanta, con l’inaugurazione del famoso “Centre Pompidou” (meglio noto come “Beaubourg”) di Parigi.
Il mega museo dalle forme simili a quelle di una enorme raffineria, realizzato da un team guidato da Renzo Piano e spuntato quasi dal nulla nel cuore della capitale francese a pochi passi dalla cattedrale di Notre Dame. Da allora i musei progettati dalle “archistar” si sono moltiplicati a macchia d’olio, sempre costruiti rigorosamente all’insegna dell’estrema esasperazione architettonica e del design avveniristico. In molti casi inoltre, come ad esempio nel Guggenheim di Bilbao, il museo è diventato un’attrazione turistica internazionale in grado di attirare pubblico da tutto il mondo. Anche se i visitatori accorrono più per scattare l’immancabile selfie davanti alle sue ardite linee geometriche, disegnate dal canadese Frank O. Gehry, che non per ammirare i capolavori di arte contemporanea racchiusi nelle sale del Museo.
E persino il classico e austero Louvre, uno dei più celebri musei al mondo (il terzo per numero di visitatori), quando ha deciso di rinfrescare il suo look in occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese (1989) non ha esitato ad innalzare nella sontuosa Cour Napoléon, il maggiore dei due cortili del Museo, le famose Piramidi di vetro (opera dell’architetto sino-americano Ieoh Ming Pei). Nonostante le feroci critiche avanzate alla presentazione del progetto (analoghe a quelle che esattamente 100 anni prima avevano bersagliato la Torre Eiffel), anche le Piramidi del Louvre hanno destato un grande interesse e riscosso un immediato successo all’indomani dell’inaugurazione.
Un fenomeno analogo si sta verificando anche nel mondo dell’alta cucina dove il contenitore (chef e vetrine televisive) è diventato ormai più importante del contenuto (bontà delle ricette, qualità delle materie prime e abilità nella preparazione). Ne consegue che una qualsiasi ricetta realizzata da uno chef stellato diventi all’improvviso una prelibatezza irresistibile, mentre quella avanzata da un illustre sconosciuto viene silurata rapidamente, e senza alcuna possibilità di appello, dagli chef di rango (o presunti tali) e dalla immancabile pletora di food blogger, food writer, food influencer, ecc.
Per dovere di cronaca va registrato comunque che nell’universo degli chef stellati c’è anche chi, con grande umiltà e senza troppi giri di parole, riesce a fare outing arrivando dritto al nocciolo del problema. Uno di questi è stato sicuramente Gianfranco Vissani che, nel corso di un’intervista del 16 maggio dello scorso anno nella trasmissione “La Confessione” di Peter Gomez, alla domanda del giornalista che gli chiedeva se avrebbe mai accettato di fare la pubblicità di un prodotto nel quale non crede per guadagnare tantissimi soldi ha risposto: “Forse si, forse si. Mandare avanti un'attività commerciale come la nostra diventa un problema, tutti chiudono. A volte ci sono tanti soldi dietro, e bisogna anche chiudere un occhio, stringere i denti e dirlo. Siamo mignotte, infatti noi diciamo che i cuochi sono i più grandi mercenari”.
Per lo stesso dovere di cronaca va sottolineato che persino nell’universo videogastronomico si possono trovare alcune eccezioni. Anche sugli schermi dei più noti e diffusi canali televisivi dedicati alla cucina. Soprattutto in quei format dove chef professionisti, e semplici appassionati di gastronomia, riescono a fornire informazioni corrette e di immediata comprensione senza strafare (o pontificare). Muovendosi inoltre in un clima molto familiare, coadiuvati dalla presenza di conduttori di collaudata esperienza e professionalità in grado di riportare l’amore per il cibo alla sua dimensione più autentica e genuina.
Sulla scia di queste svariate considerazioni nasce Diversamente C.H.E.F., un progetto gastronomico che si propone l’obiettivo di scandagliare attraverso una nuova prospettiva il complesso e variegato universo della gastronomia. Soprattutto mediante la realizzazione di una serie di inedite ricette “fuori dal coro” che riconduca l’attenzione dei buongustai, e degli appassionati di cucina, soprattutto sul cibo (contenuto) piuttosto che sul contenitore.
Una inedita quanto accattivante “global creative cooking“, che si differenzia radicalmente sia dalla classica cucina etnica sia da quella fusion, e che basa il suo humus creativo sulla spiccata vocazione di globetrotter del suo ideatore che finora ha viaggiato in quasi tutto il mondo visitando 71 Paesi in continenti. Dai suoi viaggi e da ogni esperienza gastronomica ad essi legata, sono scaturiti spunti, idee o ingredienti che, successivamente elaborati e sviluppati, hanno dato origine alle ricette fuori dal coro “Diversamente C.H.E.F”.
Ricette dal sapore forte e deciso, ma non aggressivo, che riescono tuttavia a soddisfare le aspettative di un "palato immaginario" molto esigente grazie all'equilibrio di materie prime di alta qualità, spesso abbinate a un variegato mix di spezie ed erbe aromatiche. In altre parole potremmo definirla come "la cucina di un samurai con l'a sensibilità di una geisha".
Queste ricette inoltre, proprio per il loro carattere “Diversamente C.H.E.F.”, non forniscono (come la maggior parte di quelle presenti sui libri di cucina o sulle pagine web dei food-blogger) indicazioni troppo dettagliate sulla quantità degli ingredienti, né dissertano eccessivamente sulle modalità di preparazione. In fondo “La cucina è libero arbitrio”, come ha replicato un famoso chef stellato a chi lo rimproverava per aver modificato l’impasto della pizza nella ricetta della “Margherita”, o di aver messo l’aglio negli spaghetti all’Amatriciana. Per cui l’armonia e l’equilibrio delle dosi dei vari elementi utilizzati sono legati alla creatività dello chef e alla sua continua ricerca per ottenere sempre il meglio. Ed essendo anche la cucina condivisione e piacere di spartire i piatti con tutti i gastronauti, non vi sono “ingredienti segreti” o tecniche nascoste, e tutte le informazioni sono fornite con la massima chiarezza, senza reclamare primogeniture o addirittura millantare diritti d’autore. Anche se potrà capitare che qualche “Ricetta d’Autore” venga registrata, solamente per garantire un minimo di tutela dai predatori del “copia&incolla” che, in ogni caso, non rappresentano un nocumento per lo chef che l’ha creata. Del resto, la storia ce lo insegna, non basta avere tra le mani uno Stradivari per suonare come Paganini…
In pratica, come sintetizza il termine chef (usato in questo caso come acronimo della locuzione “i Cuochi Hanno Esautorato i Fornelli”) viene auspicato il recupero del piacere del cibo con l’intento di far riscoprire una nuova dimensione degli alimenti. Sia attraverso una inedita ed inconsueta lettura delle ricette tradizionali, sia mediante la creazione di piatti originali e insoliti, realizzati spesso con materie prime provenienti da tutto il mondo, dove le regole esistono solo per essere stravolte.
Anche se gli ingredienti sono sempre più o meno gli stessi. Come accade per le note musicali. Sono solo sette, ma i risultati che scaturiscono dallo loro combinazione possono essere molto diversi: qualcuno riesce ad assemblare al massimo sul pentagramma un motivetto orecchiabile, capace magari di scalare per qualche settimana le hit parade estive, mentre altri creano capolavori come “Yesterday”, melodia evengreen da cinquantaquattro anni che, oltre ad essere premiata nel 1999 come la “canzone più bella del ventesimo secolo”, ha avuto fino ad oggi oltre 1.600 cover.
Diversamente C.H.E.F. si propone come una sorta di cucina corsara che cercherà di navigare nelle insidiose e turbolente acque dell’arte culinaria, dove solo le portaerei e le corazzate delle star mediatiche dell’alta cucina riescono a restare a galla. Ma anche un vascello corsaro può riuscire a volte a librarsi in aria con la leggerezza del gabbiano Jonathan Livingstone, costantemente alla ricerca di traiettorie ardite e nuove soluzioni di volo. Impresa senz’altro ardua e complessa, ma non impossibile poiché come sosteneva lo scienziato Albert Szent-Györgyi, Nobel per la medicina nel 1937, “La ricerca consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato”.
In cucina inoltre non bisogna mai dare niente per scontato poiché tutte le combinazioni (e le contaminazioni) sono possibili (e plausibili) e anche le prospettive, in base al tipo di approccio che si ha con il cibo, possono rivelarsi estremamente flessibili. Pensiamo ad esempio alla pizza: l’impasto di preparazione è formato da una sfera di lievito, acqua, sale e farina, quando esce dal forno la sua forma è rotonda, la scatola che la trasporta è quadrata e la fetta che arriva nel piatto è triangolare.
A proposito di bucanieri, infine, va ricordato che lo stesso Francis Drake, il più famoso corsaro della storia (XVI sec.), divenne “Sir Francis Drake” quando la regina Elisabetta I gli conferì la prestigiosa onorificenza per meriti speciali…