Ricordo di pasta al pomodoro - il racconto di Rosa Del Gaudo per il contest
Il profumo dei ricordi
Pubblicato il 29 Giu 2020, 10:47
Pubblichiamo uno dei racconti pervenuti per il contest gastroletterario "Il profumo dei ricordi".
Ricordiamo a tutti che il termine per l'invio dei racconti e la registrazione delle ricette è il 30 giugno. Trovate il bando qui.
A questo link invece la ricetta del racconto
Ricordiamo a tutti che il termine per l'invio dei racconti e la registrazione delle ricette è il 30 giugno. Trovate il bando qui.
A questo link invece la ricetta del racconto
Che cos'è un ricordo?
Un ricordo può essere il suono melodioso della voce della mamma che ti culla prima di addormentarti...i colori di un tramonto vissuto durante un viaggio in paesi lontani... il fruscio nello stomaco provato sedendo al banco il primo giorno di scuola... ma quando i ricordi hanno un profumo? Qual è il profumo dei ricordi?
Per me i ricordi hanno il profumo dei pomodorini appesi ad asciugare alla trave del portico, davanti alla porta di casa di mia nonna; dei dolcetti di pasta frolla con gli zuccherini, che la cuoca della colonia aveva preparato per il giorno del suo compleanno; del ragù che “pippitea” nella pentola la domenica mattina, quando mia madre si alzava presto per preparare il sugo prima di andare a messa e noi bambini ci svegliavamo con il profumo della cipolla che soffriggeva e delle braciole di carne affogate nel pomodoro.
Come una macchina del tempo i profumi mi riportano indietro evocando le stesse emozioni, le stesse sensazioni del passato.
Adoro la sensazione che il ricordo di un profumo riesce a suscitare; e insieme ai profumi mi sembra di tornare in quei luoghi, di rivedere le immagini, di rivivere le emozioni.
Come quella volta che mi trovavo in vacanza nell'entroterra marchigiano; avevamo preso l'abitudine, per non trovarci nella calca dei turisti, di girare per borghi e musei a cavallo dell'ora di pranzo. Passeggiando in uno di questi borghi, arroccato su una collina, nel mezzogiorno di una assolata giornata di agosto, dalle finestre aperte arrivava il suono tintinnante delle posate che poggiano, indugiano e ritornano nel piatto; e da una di queste finestre improvviso un profumo di sugo...e la macchina del tempo parte. Vedo il refettorio del mio asilo, sento il vociare allegro di piccoli bambini tutti con i loro grembiulini azzurri intenti a gustare un buon piatto di pasta al sugo...ed eccolo lì, più di 30 anni dopo quel profumo tornare cristallino alle mie narici.
Oppure quella volta che, girando per una fiera di paese, il profumo di mobili antichi di un venditore mi riportò a casa di mia nonna, bambina, in quella camera da letto tenuta sempre un po' in penombra, per difendersi dalla calura estiva. Il grande letto dalla testiera intagliata, quella cassettiera così alta da nascondere agli occhi di una piccola bambina i suoi “tesori”...qualche bomboniera, qualche immagine sacra e le vecchie foto di famiglia in preziose cornici d'argento.
In quella stessa casa, ogni estate si ripeteva il rito della preparazione della “conserva”.
Più che una riunione di famiglia sembrava una sagra di paese, tutta la famiglia era coinvolta: nonni, zii, cugini, prozii e pronipoti, ognuno aveva il suo ruolo. Gli uomini si erano già alzati all'alba per raccogliere i pomodori, i succosi e profumati San Marzano cresciuti nel terreno scuro e sabbioso delle terre schiacciate tra il mare e il Vesuvio.
Le donne preparavano tutto quello che serviva sotto la grande tettoia nel cortile di casa di mia nonna.
Noi bambini gironzolavamo curiosi, felici di tutto quel trambusto.
Quando arrivavano i pomodori per prima cosa bisognava lavarli, ecco allora che mio nonno accendeva il motore per pompare l'acqua dal pozzo... data la profondità, il ronzio meccanico precedeva di alcuni secondi l'arrivo del primo getto d'acqua fresca, poi una scrosciante cascata andava a tuffarsi nella grande “pischera”, (serbatoio nato per raccogliere l'acqua per irrigare i campi), noi bambini sognavamo di usarla come una grande piscina, ma il divieto era tassativo: “l'acqua è profonda e si rischia di affogare!”
A tuffarsi erano invece i pomodori, dentro grossi catini, dove venivano sciacquati con quell'acqua che sapeva di salmastro, perché pescata a profondità che superavano il fondo del mare.
Una volta puliti e sgocciolati i pomodori finivano in grossi pentoloni, tagliati grossolanamente da mani veloci. Era finalmente il momento dell'assaggio, un po' di quei pezzi succosi finivano su rustiche fette di pane, insieme ad un generoso filo d'olio e un pizzico di origano profumatissimo.
Un rapido bollore e ancora fumanti i pomodori finivano dentro grossi teli di lino bianco tesi con delle mollette da bucato sopra gli stessi catini. Il profumo che si levava allora era inebriante, l'aroma dolciastro del pomodoro si fondeva con quello della candida tela bagnata e sembrava suggerire sentori di sottobosco.
Scolata l'acqua in eccesso la grossolana poltiglia rossa finiva schiacciata nelle “macchinette” passapomodori, rigorosamente con la forza manuale, niente aggeggi elettrici, e presto iniziava a fluire una densa crema che profumava d'estate e di sole.
La polpa di pomodoro veniva passata e ripassata, finché non ne restava soltanto un secco residuo di bucce e semi, che veniva gettato nei campi dove diventava concime naturale e dove le galline banchettavano felici chiudendo il cerchio della natura.
La passata non era ancora degna però di finire sotto vetro, prima veniva lasciata decantare, perché la parte densa galleggiasse in superficie, mentre un profumato liquido arancio si depositava sul fondo.
La catena di montaggio allora partiva, chi passava le bottiglie, chi le riempiva, chi le tappava e chi infine le collocava con grande cura negli enormi fusti dove, insieme ad alcuni stracci opportunamente posizionati per evitare rotture, le bottiglie venivano fatte bollire. Noi bambini avevamo il compito importante di mettere in ogni bottiglia vuota una o due foglie di basilico, anch'esso dal fresco profumo, così intenso che ci rimaneva sulle dita per ore.
Mentre il fuoco avvampava mia nonna preparava il pranzo, con un po' di quella passata appena fatta e alcune di quelle foglie di basilico cucinava una semplice pasta al pomodoro, il cui profumo si mescolava all'odore della legna che bruciava e alle chiacchiere e alle risate di una grande famiglia riunita prima nel lavoro e poi intorno alla stessa tavola.
E a fine giornata, quando ormai il sole era tramontato, e l'acqua nei calderoni si era intiepidita, le bottiglie con il prezioso succo rosso venivano recuperate e ognuno tornava a casa, con la sua scorta d'estate sotto vetro e il ricordo di una pasta al pomodoro.
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