Pizza maker
Borboni e i forni dì Capodimonte già 100 anni prima della famosa Margherita......
Ferdinando I di Borbone, che all’epoca era ancora «IV». «’Orre» era un patito delle osterie dove andava di nascosto, e amava in maniera smisurata la pizza. Tanto che aveva tentato più volte di introdurla nei menù di corte. Ovviamente non gli era stato concesso. Tra l’altro un monarca, che come narra Alexandre Dumas nella sua storia dei Borbone, parlava solo napoletano capendo poco lo spagnolo e l’italiano, non poteva oltre infangare la sua immagine portando a palazzo la pizza. Ma il re lazzarone era testardo. E si era messo in testa di farla assaggiare alla sua giovane consorte, l’austriaca Maria Carolina che aveva in odio la pizza quasi quanto i gesuiti. All’epoca di locali dove mangiarla ce n’erano tanti. Il primo fu realizzato a Port’Alba nel 1738. Ma certo Ferdinando non poteva portare lì Carolina. Così fece costruire il forno a Capodimonte e chiamò il migliore pizzaiolo della città. La storia è stata raccontata da Salvatore di Giacomo nel libro «Ferdinando e il suo ultimo amore». Il poeta raccolse la testimonianza di Domenico Testa, figlio di‘Ntuono, che divenne monzù (chef del regno) dopo quella serata. «Stando Ferdinando a villeggiare a Capodimonte, fu chiamato in corte, non senza sua grande meraviglia. La persona che lo chiamò gli disse che la regina e le sue dame desideravano tanto di mangiare delle pizze: che le facesse nella sera seguente e comuni e volgari come quelle che voleva vendere a due grana l’una. Il forno fu fabbricato - continua di Giacomo - nello stesso bosco di Capodimonte: le pizze furono preparate e le si mise al forno mezz’ora dopo la mezzanotte. Dopo due o tre minuti eccoti lì, con quattro o cinque dame di Corte, la regina: arrivano poco dopo altre dame velate e in tutto don Domenico ne conta venti. La regina mangia con buon appetito una pizza da due grana, le dame la imitano ridendo, i domestici servono vino bianco e arance, ricomincia il ballo in Palazzo e la visione scompare. Resta accanto a don Domenico un bel signore bruno e alto, che gli domanda sottovoce: - Che impiego vorreste? Don Domenico era vanitosetto: preferì d’avere un’onorificenza e rispose al signore misterioso: - Vorrei chiamarmi munzù!».
I monzù Valerio e Daniele
Valerio lessi
è nato a Vico Equense,in penisola Sorrentina e tanto è bastato per far di lui un
appassionato della pizza, seppur con una diversa
declinazione. Vico Equense è infatti il luogo di culto per gli
amanti di quella pizza famosa per la sua stesura in
lunghezza, la cosiddetta "pizza a metro" che, grazie
all'Università della Pizza, è divenuta famosa in tutto il
mondo. Era alto meno di un metro, il piccolo Valerio, che già
tirava la mano di suo padre affinché in pizzeria lo sollevasse
permettendogli così di vedere cosa i pizzaioli facessero su
quel bancone pieno di candida farina. Il suo interesse per la
panificazione veniva poi alimentato dal fatto che vivere a
Vico Equense vuol dire crescere in un paese in cui avere il
forno a legna in casa ha lo stesso valore dell'avere l'acqua
corrente: lì quasi tutti i giorni con i nonni si impastava e si accendeva il
forno per cuocere pane e pizze. Insomma, la farina gli entra
nel sangue. Valerio cresce inseguendo un unico amore: la
pizza. Quella magia che lo ha ammaliato da piccolo ha
continuato ad essere per lui come il canto delle sirene a cui
Valerio ha prestato orecchio approdando, oggi, a lavorare
fianco a fianco col suo amico Daniele Ferrara conosciuto ormai da tempo e divenuto come un fratello.
Valerio lessi
Daniele Ferrara classe 1985, la pizza fa innamorare tutti i bambini, ma non tutti diventano pizzaioli, la mia fortuna è stata quella di vivere la pizzeria già dalla tenera età di 7 anni, grazie a mio padre che nel 1992 apri il suo primo ristorante e pizzeria a cava de tirreni,
Ogni qual volta i miei genitori mi portavano in pizzeria il mio pensiero fisso era fare la pizza, ero ossessionato da quel gioco, che più di quello non poteva essere per me, ma poi quel gioco è diventato un lavoro all'età di 13 anni, affiancando mio padre, fino a 26 anni, quando papa decise che ero pronto,mi lascio andare, e fu cosi che mi trovai ad emigrare verso la città della moda, MILANO, nel mio percorso un giorno incontrai valerio iessi e da quel giorno decidemmo di non lasciarci più, ed oggi ci troviamo qui insieme diretti per un solo obbiettivo, EMOZIONARE
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